Cure palliative, miraggio per sei su dieci.

Troppo spesso l’unica figura di riferimento è il medico di base. Con una spesa per le famiglie di 3mila euro al mese
 
 
MILANO – Cure palliative a domicilio: un miraggio per il 60% degli italiani. Secondo il rapporto nazionale sull’assistenza domiciliare dei malati in fase terminale messo a punto dall’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) e presentato al congresso nazionale della Simg (Società italiana di medicina generale), sei cittadini su dieci vivono in zone dove non ci sono centri dedicati all’assistenza domiciliare dei malati in fase terminale. Per sei milioni di pazienti l’unica figura di riferimento è il medico di famiglia: figli, mogli, mariti si trovano quindi costretti a provvedere a proprie spese a infermieri e altre figure necessarie al benessere del congiunto: un costo che può raggiungere i 3mila euro al mese in assenza di organizzazione e supporti. Una cifra troppo alta, tanto più se si considera che una programmazione centralizzata efficiente costerebbe 8 euro l’anno a cittadino.

NORD E SUD – «Per la prima volta si è realizzata in Italia un’indagine a tappeto che ci ha permesso di scattare una fotografia completa ed aggiornata e di capire quali sono i punti deboli – dice Pierangelo Lora Aprile, responsabile cure palliative della Simg -. In alcune realtà del Paese siamo l’unico baluardo che sta affrontando il problema dell’assistenza ai malati in fase terminale a livello capillare sul territorio. Il problema è organizzativo e richiede il potenziamento immediato dei servizi di assistenza domiciliare già esistenti e funzionanti con infermieri e medici specializzati. Questo potrebbe migliorare da domani la situazione in larga parte della penisola». C’è il solito gap nord-sud, con il Meridione in una situazione più critica, ma anche in alcune aree settentrionali il servizio è carente. «Per costruire una rete nazionale delle cure palliative, come vuole la legge 38 del 2010, bisogna integrare la presenza degli hospice con quella di cure domiciliari adeguate – spiega Giovanni Zaninetta, presidente della Società italiana di cure palliative (Sicp) -. E queste ultime devono possedere gli stessi standard di qualità su tutto il territorio nazionale». Gianlorenzo Scaccabarozzi, direttore del Dipartimento della fragilità dell’Asl di Lecco, fa una proposta: «Occorre che lo sviluppo della rete nei suoi nodi fondamentali (casa, hospice, ospedale) diventi una priorità nella programmazione regionale e locale, attraverso obiettivi specifici di mandato per i direttori generali. Oggi non è così. Le cure palliative restano spesso l’espressione dell’iniziativa singola». Per Fulvio Moirano, direttore dell’Agenas, la pubblicazione del rapporto rappresenta un tassello importante: «Ha un duplice obiettivo: da un lato offre l’opportunità ai professionisti di verificare lo stato dell’arte. Dall’altro, analizza la percezione che di queste cure hanno gli operatori sanitari». Su questo fronte i risultati sembrano incoraggianti: la cultura media è buona e il servizio, dove esiste, raggiunge livelli di eccellenza. Il 53% garantisce una continuità assistenziale sulle 24 ore e il 45% una pronta disponibilità medico-infermieristica.

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