Il Governo, schiavo di Big Pharma

Fonte  L’Espresso
Data 20.6.11
Titolo    Il governo, schiavo di Big Pharma
E’ bastata una leggina lunga meno di tre pagine per soffocare la ricerca indipendente nel nostro Paese in meno di due anni. Un sistema che ha permesso di drenare un mucchio di soldi dai poveri fondi a disposizione degli scienziati verso quelli più ricchi delle compagnie di assicurazione del settore, le uniche ad averci guadagnato davvero. Ecco come è stato possibile.
Fino al 2010 i pazienti che partecipavano a uno studio clinico erano assicurati in questo modo. Nel caso di ricerche finanziate dalle case farmaceutiche, queste ultime stipulavano la polizza contrattando il premio da pagare. Non erano previsti criteri vincolanti da seguire, ma il comitato etico che approvava il protocollo valutava anche questo aspetto prima di dare il via libera. Quando la ricerca era spontanea, invece, la copertura era garantita dall’assicurazione generale a carico dell’istituzione che la promuoveva (un ospedale, per esempio).
La situazione è cambiata con il decreto del ministero del Lavoro, della salute e delle politiche sociali del 14 luglio 2009, entrato in vigore nel marzo 2010. Con questa norma, la differenza tra i due tipi di studi è stata abolita, obbligando tutti i ricercatori a stipulare un’assicurazione specifica su ogni singola ricerca seguendo determinati criteri.
Risultato? «La ricerca spontanea in Italia si sta riducendo a causa di questi costi aggiuntivi» spiega Dionisio Franco Barattini, direttore medico di Opera Cro, una società di ricerca clinica per enti pubblici e aziende private, «e potrebbe scendere presto dal 26-28 per cento del numero totale al 14 per cento circa». In altre parole, si dimezzerà. 
I nuovi obblighi di legge, infatti, sono una mazzata per le casse degli enti non profit. Come spiega Andrea Pession, responsabile del centro operativo dell’Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica (Aieop): «Uno studio della durata di cinque anni può costare fino a un milione di euro e il 15 per cento è rappresentato dalle coperture assicurative, un onere insostenibile per la ricerca indipendente». 
Un dato in linea con quello stimato dalla maggior parte degli scienziati, che parla di una spesa per l’assicurazione pari a circa il 10-15 per cento del costo totale. E i prezzi sono così elevati anche perché la legge impone di calcolare il premio più in base al numero di pazienti coinvolti che valutando il rischio corso realmente. E se si pensa che ogni anno l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) finanzia studi indipendenti per circa 25-30 milioni di euro, per esempio, significa che il regalino per le compagnie potrebbe essere di oltre 4 milioni di euro.
L’Aieop sottolinea che «la ricerca clinica indipendente nel settore dell’oncologia pediatrica in Italia è bloccata da due anni» e in questo periodo «dei cinque studi sperimentali non profit proposti, solo uno relativo alla leucemia linfoblastica acuta è riuscito a partire».
E alla lunga le conseguenze potrebbero essere ancora più devastanti. «Fino a trent’anni fa, su dieci bambini con il tumore ne morivano otto dopo pochi mesi dalla diagnosi», ricorda il presidente Aieop Fulvio Porta, «mentre oggi l’80 per cento guarisce proprio grazie a ricerche non sponsorizzate». Questo andamento positivo rischia ora di interrompersi, anche perché le neoplasie pediatriche sono considerate malattie rare, con basse ricadute commerciali quanto a vendita di medicine, e quindi poco interessanti per le case farmaceutiche.
Gli studi indipendenti sono importanti anche per altri motivi. Come spiega Fausto Roila, direttore dell’oncologia dell’ospedale di Terni e membro del tavolo oncologico dell’Aifa: «Circa il 70 per cento dei farmaci antitumorali studiati da ricerche sponsorizzate sono approvati dopo avere verificato solo che contribuiscono a una riduzione del tumore, ma l’aumento della sopravvivenza e della qualità della vita sono elementi che di norma chiariscono gli studi indipendenti, che si occupano di medicine già in commercio e con effetti collaterali noti».
Il premio richiesto dalle compagnie, dunque, dovrebbe essere molto più contenuto, dato che la ricerca spontanea si concentra su farmaci conosciuti e poco rischiosi. «Al punto che», sottolinea Roberto Satolli, presidente del comitato etico dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, «non mi risulta che in Italia ci sia mai stata una richiesta di risarcimento in seguito a uno studio clinico».
In ogni caso, i pazienti erano coperti da eventuali rischi già prima dell’entrata in vigore della legge. Chi ha spinto, dunque, perché fosse approvata questa norma? Una fonte che chiede l’anonimato ricorda bene l’incontro organizzato nel novembre 2009 dalla Società di scienze farmacologiche applicate per spiegare la nuova norma. In quell’occasione, racconta, «era presente anche il numero uno in Italia della Hdi Gerling, la compagnia più importante nella copertura degli studi clinici nel nostro Paese, e in quell’incontro lo stesso manager ha affermato di avere collaborato proprio come consulente dell’Aifa per la stesura del decreto». Comunque sia andata, è lecito sospettare che alla redazione della norma abbia partecipato qualcuno con interessi su più fronti. (di Marco Ratti)

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